Una fobia non ufficiale (non è inclusa nell’elenco dei disturbi mentali) che consiste nella sensazione di malessere e disagio, nei casi più gravi vera e propria ansia e repulsione, che si manifesta osservando pattern irregolari di fori o protuberanze. Non esiste molta letteratura scientifica eppure -compreso in chi scrive!- è un fenomeno di cui moltissimi testimoniano la reale esistenza.
(Nota: dovendo per esigenze editoriali inserire una immagine per ogni post, ho scelto la più innocua di tutte: i semi di loto. Che pur nella loro bellezza sono capacissimi di generare nausea in moltissimi osservatori tripofobici 🙂 )
Perché certe immagini suscitano tale reazione?
In molti soggetti che si riconoscono affetti da questa fobia, un’immagine del tutto innocua, che ritrae un soggetto innocuo – può suscitare paura e disgusto. Questi individui non hanno paura di uno o più buchi “in sé”. La tripofobia è caratterizzata da un’avversione a modelli aggregati di buchi o dossi (prouberanze) irregolari. Il termine sembra essere stato coniato da su forum online nel 2005, anche se gli scienziati dicono che la condizione è probabilmente in circolazione da molto più tempo.
Questa fobia non è un disturbo ufficiale, il che significa che non è elencata nel “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali“, ma fino al 10% delle persone riferisce di subire sintomi, tra cui ansia, nausea e accapponamento della pelle a seguito della visione di alcune immagini (di cui, indovinate? Internet è PIENA! 🙂 ).
Ma allora, se ufficialmente non esiste, perché questa fobia è così comune? Gli scienziati stanno ancora cercando di rispondere a questa domanda -e, va precisato, non è in cima alla lista di cose da fare della scienza-, ma molti ritengono che l’avversione sia legata a fenomeni di adattamento evolutivo.
Dicevamo, la letteratura scientifica non è nutritissima, ma non manca di certo. Nella prima documentazione scientifica di sempre sulla tripofobia, pubblicata su Psychological Science, sono state confrontate immagini che attivano la tripofobia con immagini di animali velenosi, come serpenti e il polpo dagli anelli blu. Gli autori dello studio hanno presentato una distribuzione simile di macchie, buchi o buchi, nonché un livello simile di contrasto nelle immagini. I ricercatori hanno concluso che la fobia potrebbe derivare da un’avversione evolutivamente adattiva alle creature velenose.
Tuttavia, in uno studio pubblicato nel 2018 sulla rivista Cognition and Emotion, gli scienziati hanno sostenuto che la fobia si è evoluta in risposta alla (paura della) malattia. Del resto, i gruppi di fori sembrano lesioni cutanee, i dossi e le pustole sembrano sintomi di antiche malattie infettive come il vaiolo. Quella malattia da sola uccise fino al 10% della popolazione nel precedente millennio – l’avversione per la pelle infetta avrebbe potuto dare a individui con questa fobia un vantaggio evolutivo aiutandoli ad evitare questa, e altre, malattia mortale.
Inoltre, sostengono gli autori di questo studio, la risposta più comune a un’immagine di un albero punteggiato di ghiande non è la paura, ma il disgusto, che gli psicologi hanno chiamato “l’emozione di evitare la malattia”. Considerando che i predatori velenosi e le malattie sono entrambi minacciosi, scatenano due reazioni molto diverse. Un serpente provoca paura attivando il sistema nervoso simpatico di una persona – il sistema che causa l’ingresso in modalità scappa-o-combatti. La malattia e il cibo in decomposizione causano disgusto attivando il nostro sistema nervoso parasimpatico, che provoca il rilassamento del corpo al fine di risparmiare energia.
Una ricerca pubblicata nel 2018 sulla rivista PeerJ ha rilevato che le pupille dei partecipanti si sono dilatate in risposta a immagini di serpenti, ma si sono ristrette in risposta a immagini di buchi – un segno di attivazione del sistema nervoso parasimpatico.
In conclusione
La tripofobia non è una fobia ufficiale, ma è impossibile negarne gli effetti su moltissime persone. Gli scienziati stessi, nei pur pochi studi al momento disponibili, hanno associato il sintomo principale, ovvero il disgusto, alla reazione istintiva di tenere lontane le malattie. Questo riflesso potrebbe aver spiegazione evolutiva: i soggetti che soffrivano di tripofobia evitavano, più di altri, contatto o vicinanza con le malattie.
Bibliografia e fonti
Pupillometry reveals the physiological underpinnings of the aversion to holes
Disgusting clusters: trypophobia as an overgeneralised disease avoidance response