E’ un’infiammazione acuta (dovuta di solito a un’infezione virale oppure ad un avvelenamento da alcol o ad un’intossicazione da droghe) o cronica (responsabile della graduale distruzione dell’organo)del fegato che provoca la distruzione delle cellule epatiche.
FORME DI EPATITE
Le forme virali di epatite sono state classificate dalla A alla G secondo il tipo di virus. I tipi che si presentano più frequentemente sono l’epatite A, la B e la C.
Dopo un periodo variabile di incubazione l’epatite virale acuta provoca debolezza, nausea, vomito, febbre e stanchezza; è possibile che si sviluppi anche l’ittero (cioè la colorazione gialla di pelle e mucose), accompagnato da perdita di appetito e malessere nella zona del fegato e l’urina diventa più scura.
I virus che provocano l’epatite possono essere trasmessi:
per via digestiva dopo l’ingestione di acqua o alimenti contaminati (epatiti A, E ed F);
per via ematica attraverso una siringa contaminata o una trasfusione di sangue infetto (epatiti B, C, D e G).
Nella maggior parte dei casi, fatta eccezione per le epatiti B, C e D che possono evolvere in una forma cronica per periodi superiori ai 6 mesi, l’epatite acuta si risolve spontaneamente nel giro di poche settimane. Raramente può invece portare al rapido deterioramento del fegato fino a richiederne il trapianto d’urgenza.
Un tipo particolare di epatite è quella acuta da alcol dovuta appunto ad un consumo regolare di grandi quantità di bevande alcoliche che può portare alla distruzione delle cellule del fegato e, a lungo andare, degenerare in cirrosi.
L’epatite A è la più comune e meno grave, colpisce circa il 90% della popolazione dei Paesi in via di sviluppo a causa delle scarse condizioni igieniche.
QUANDO SI DEVE RICORRERE AL TRAPIANTO?
Quando un fegato è irrimediabilmente danneggiato non riesce più ad assolvere alle sue funzioni; siamo in presenza di insufficienza epatica, si programma perciò un trapianto per sostituire l’organo malato con uno sano. Il fegato del paziente viene rimosso completamente e sostituito con uno intero espiantato da un paziente cerebralmente morto, oppure da una porzione presa da un donatore volontario. Una volta terminato l’intervento sono necessari una ventina di giorni per verificare che il nuovo fegato funzioni adeguatamente; il rischio di rigetto viene tenuto sotto controllo da una cura immunosoppressiva che il soggetto deve seguire per tutta la vita.