Nell’ambito dei nostri approfondimenti sul sonno avevamo in cantiere un articolo sul NAD (nicotinammide adenina dinucleotide), ma ci è capitata sotto gli occhi una ricerca pubblicata l’8 Ottobre su eLife, che trova una possibile connessione tra privazione del sonno e il desiderio di consumare cibi grassi, fritti, ipercalorici.
Le teorie più accreditate attribuiscono il ‘craving‘ che si ha dopo una notte insonne al fatto che il cervello, in una circostanza di privazione del sonno, produce più endocannabinoidi, che presiedono al desiderio di cibo e alle reazioni del cervello al sapore e all’odore degli alimenti. Il lettore più accorto e avvezzo ai piaceri della vita avrà già fatto la naturale associazione: fame chimica! [si scherza eh? N.d.R.]
Pur non essendo già lontanissimi dalla realtà delle cose, un nuovo studio, “Olfactory connectivity mediates sleep-dependent food choices in humans“, condotto presso la NorthWestern University (Chicago, Illinois), si è spinto un po’ oltre nella comprensione di questo fenomeno.
I risultati di questo esperimento identificano il naso e il senso dell’olfatto come responsabili della ricerca di cibi ipercalorici e ricchi di grassi dopo una notte in bianco.
L’olfatto è influenzato in due modi dalla privazione del sonno, secondo lo studio. Innanzitutto, va in hyperdrive, acuendo gli odori degli alimenti affinché il cervello possa meglio distinguere tra odori alimentari e non alimentari.
Inoltre la privazione del sonno provoca un’interruzione nella comunicazione con altre aree del cervello che ricevono segnali alimentari attraverso l’olfatto. E con ciò, cambiano i desideri e le decisioni su cosa mangiare.
Quando ci si priva del sonno, alcune aree del cervello potrebbero non ricevere abbastanza informazioni e di conseguenza si compensa privilegiando il cibo con un segnale energetico più ricco. Un’altra possibilità è queste aree non riescano a tenere sotto controllo i segnali acuti nella corteccia olfattiva e ciò potrebbe anche portare alla scelta di junk food e dolci.
L’esperimento
L’esperimento è stato suddiviso in due parti con 29 volontari, uomini e donne , dai 18 ai 40 anni.
I partecipanti allo studio sono stati divisi in due gruppi. Il primo dormiva normalmente per quattro settimane, mentre l’altro gruppo poteva dormire solo 4 ore per notte. Al termine del mese, i due gruppi hanno invertito le modalità di dormita. Ogni mattina ad entrambi i gruppi, gli scienziati servivano ai partecipanti un menu controllato per colazione, pranzo e cena, e un buffet di snack ipercalorici. Gli scienziati hanno misurato quanto e cosa hanno mangiato i partecipanti durante le due fasi dell’esperimento.
I risultati sono intuitivi. Il gruppo che poteva dormire solo 4 ore per notte, optava per il consumo di snack e assumeva maggiori calorie. Il gruppo che aveva iniziato, le prime quattro settimane, con un sonno normale, nel momento che era stato privato del sonno aveva cambiato le proprie abitudini alimentari.
Attraverso esami del sangue, i ricercatori hanno identificato che anche i livelli di endocannabinoidi erano maggiori nel gruppo dei volontari cui erano imposte solo 4 ore per notte di sonno.
Attraverso una risonanza magnetica funzionale (fMRI) si è inoltre osservata l’attività cerebrale dei partecipanti sottoponendoli ad odori di cibo e odori non alimentari. L’attività nella corteccia piriforme differiva maggiormente tra odori alimentari e non alimentari quando i soggetti erano privati del sonno.
La corteccia piriforme normalmente invia informazioni a un’altra area del cervello, la corteccia insulare. L’insula riceve segnali importanti per l’assunzione di cibo, come l’olfatto e il gusto, e la quantità di cibo presente nello stomaco.
Ma l’insula di un soggetto privato del sonno mostrava una ridotta connettività (una misura della comunicazione tra due regioni del cervello) con la corteccia piriforme. E il grado di questa riduzione era correlato all’aumento del 2-OG (un endocannabinoide).
In conclusione
La privazione del sonno provoca un aumento di produzione di endocannabinoidi (in particolare 2-OG); inoltre i segnali tra naso e cervello sono meno efficaci, il ché porta il soggetto a ricercare cibi il cui segnale alimentare e nutritivo sia più forte, come appunto, i cibi ipercalorici.