L’ipotesi dei ricercatori era semplice: vivere in relativo isolamento e in un ambiente “monotono” è in grado di restringere alcune strutture cerebrali. Per dimostrare, o smentire, l’ipotesi, hanno analizzato la struttura cerebrale di nove partecipanti ad una spedizione in Antartide, destinati a passare in semi-isolamento 14 mesi. Un secondo esame, effettuato al loro ritorno, ha rilevato, effettivamente, che alcune strutture cerebrali erano ridotte rispetto alla prima analisi.
Lo studio, “Brain Changes in Response to Long Antarctic Expeditions“, è stato pubblicato sul The New England Journal of Medicine il 4 Dicembre 2019.
Gli autori della ricerca e del paper corrispondente hanno esaminato, attraverso Risonanza Magnetica, il cervello dei partecipanti alla spedizione prima e dopo il viaggio e hanno scoperto che durante la permanenza in Antartide alcune strutture del cervello si erano ridotte. In particolare, una struttura cerebrale critica per l’apprendimento e la memoria chiamata ippocampo aveva perso un volume significativo. I risultati suggeriscono che soggetti potrebbero aver perso, vivendo e lavorando in una stazione di ricerca isolata sul ghiaccio polare, uno stimolo necessario al mantenimento della massa cerebrale.
Il restringimento del cervello nella zona dell’ippocampo può minare la capacità dei partecipanti alla spedizione di elaborare le emozioni e interagire con gli altri, perché l’ippocampo è la “chiave” per quelle abilità cognitive, afferma il coautore Alexander Stahn, ricercatore di medicina spaziale presso lo Charité – Universitätsmedizin Berlin e assistente professore di scienza medica in psichiatria presso l’Università della Pennsylvania.
I cambiamenti cerebrali osservati nel team antartico confermano osservazioni simili fatte sui roditori (ad esempio: “Social isolation delays the positive effects of running on adult neurogenesis“, Nature Neuroscience, 2006), che suggeriscono che periodi prolungati di isolamento sociale diminuiscono la capacità del cervello di costruire nuovi neuroni. Vivere in un ambiente “monotono”, un luogo che cambia raramente e contiene pochi oggetti o ambienti interessanti da esplorare, sembra indurre cambiamenti nel cervello dei roditori che assomigliano a quelli visti nei soggetti studiati, in particolare nell’ippocampo. Essendo una delle poche regioni del cervello in grado di generare neuroni nell’età adulta, l’ippocampo ricollega continuamente i nostri circuiti neuronali mentre apprendiamo e acquisiamo nuovi ricordi.
Poiché lo studio comprende solo nove persone, gli autori hanno sottolineato che i dati dovrebbero essere interpretati con cautela. Basandosi esclusivamente sulla loro ricerca, gli autori non sono stati in grado di determinare quali elementi della spedizione costituivano una deprivazione sociale o ambientale. Tuttavia, i ricercatori hanno affermato che i risultati suggeriscono che un isolamento prolungato può esaurire la proteina BDNF (brain-derived neurotrophic factor), alterare la struttura dell’ippocampo e minare importanti funzioni cognitive come la memoria.
I ricercatori stanno attualmente studiando diversi modi per prevenire questo restringimento del cervello, “come routine di esercizi fisici specifici e realtà virtuale per aumentare la stimolazione sensoriale“, ha detto Stahn. Teoricamente, se i risultati degli studi sui roditori sono veri negli esseri umani, “arricchire” l’ambiente di una persona con nuovi oggetti e attività potrebbe proteggere l’ippocampo dal restringimento, hanno detto gli autori.