Abbiamo recentemente scritto del “Long Covid” (cfr: Domanda: “cos’è il Long Covid?“) ovvero le conseguenze a lungo termine sofferte da chi ha contratto ed è guarito dal COVID. Un nuovo studio, al momento in pre-print, quindi ancora soggetto a peer-review, evidenzia come l’impatto di questa malattia potrebbe riguardare anche il cervello.
Lo studio, disponibile full text su MedRxiv dal 15 Giugno 2021, evidenzierebbe (condizionale obbligatorio) che le conseguenze dell’aver contratto il COVID potrebbero intaccare la materia grigia e altri tessuti del cervello. Per consultarlo cliccare su: Brain imaging before and after COVID-19 in UK Biobank
ATTENZIONE: lo studio qui presentato è in “pre print”, quindi non è ancora stato peer-reviewed. Nessuna delle conclusioni può essere definita conclusiva e assoluta.
I risultati di questo studio, se confermati, sono allarmanti. Nonostante fosse già noto che tra le conseguenze del COVID, in particolar modo se gravemente sintomatico, vi fossero anche condizioni che riguardano il cervello, come annebbiamento (il classico “svarione”) e peggioramento delle facoltà cognitive, e il sistema nervoso, secondo i ricercatori il COVID sarebbe in grado di alterare “fisicamente” il cervello, riducendo la quantità di materia grigia.
Svolgimento dello studio
Per la ricerca sono stati attinti dati dalla UK Biobank. Gli autori dello studio hanno reclutato 394 individui che avevano aderito al programma e avevano contratto COVID-19 e hanno riunito un gruppo di controllo di dimensioni simili per sesso, età, etnia e intervallo tra le scansioni, che era di tre anni in media.
Sono stati utilizzati tre tipi di scansioni MRI (risonanza magnetica) strutturali: scansioni T1, che consentono la valutazione dei volumi cerebrali e dello spessore corticale; Scansioni T2 fluid-attenuated inversion recovery (FLAIR), che possono identificare l’infiammazione e il danno tissutale; e risonanza magnetica susceptibility-weighted, che è sensibile al contenuto di ferro.
È stata eseguita sia la risonanza magnetica funzionale a riposo che quella funzionale per valutare la connettività. I fenotipi derivati dall’imaging (IDP: Image deriving phenotypes) sono stati generati per i partecipanti utilizzando queste scansioni e confrontati con quelli raccolti prima della pandemia, raggruppati per età, sesso ed etnia, con quelli che sono stati ricoverati in ospedale a causa dell’ulteriore identificazione dell’infezione da SARS-CoV-2 (questi ultimi erano 15 individui).
Le differenze di volume cerebrale pre e post-COVID-19 sono abbastanza nette:
Le variazioni più evidenti sono state osservate nell’emisfero cerebrale sinistro, e nello specifico nel giro paraippocampale, la corteccia orbitofrontale laterale e l’insula superiore.
Effetti meno evidenti sono stati osservati nell’emisfero destro, nello specifico nel polo temporale.
Molti dei risultati osservati sono simili a quelli associati al morbo di Alzheimer o ad altre forme di demenza. Ciò ha sollevato preoccupazioni sul fatto che le conseguenze a lungo termine di COVID-19 possano includere questi disturbi.