Ultimo aggiornamento: 23 Agosto 2021
Sintetici, come l’aspartame e la saccarina, o naturali, come lo steviolo, i dolcificanti alternativi allo zucchero sono commercializzati come un modo per conferire dolcezza a bevande e alimenti senza aggiungere calorie. Il problema è che il vantaggio di una minore assunzione di calorie è comunque sbilanciato dai potenziali negativi effetti sulla salute associati al loro utilizzo.
Innanzitutto: come fanno i dolcificanti non avere calorie?
Detti anche “dolcificanti non-nutritivi“, aspartame & co. non apportano calorie perché non vengono scomposti durante la digestione e di conseguenza non diventano prodotti che il corpo possa usare a scopo energetico; non rientrando nei normali processi metabolici dello zucchero, i dolcificanti come la saccarina entrano pressoché direttamente nel flusso sanguigno e vengono successivamente espulsi con le urine.
Semplificando moltissimo, i dolcificanti non apportano calorie perché sono come una sostanza inerte che l’organismo non gestisce ai fini energetici.
Il problema è che un numero sempre crescente di studi suggeriscono che i dolcificanti potrebbero avere un impatto negativo sulla salute. A diversi livelli.
Nonostante, tutt’ora, L’American Diatebes Association ne suggerisca (seppur implicitamente) l’utilizzo in luogo dello zucchero tradizionale, una letteratura scientifica sempre crescente manifesta gravi timori che l’utilizzo sistematico di dolcificanti artificiali possa produrre più danni che benefici.
In particolare, la ricerca scientifica si è concentrata su tre macro aree di studio: l’effetto sul microbiota intestinale, il cervello e la prevenzione di obesità e malattie a carico del sistema cardiovascolare.
Microbiota intestinale
Lo studio (condotto su topi): “Artificial sweeteners induce glucose intolerance by altering the gut microbiota” (Nature, 2014) conclude che l’uso a lungo termine di dolcificanti artificiali causa lo sviluppo dell’intolleranza al glucosio alterando l’equilibrio del microbiota intestinale.
In particolare l’aspartame è sotto esame in questo studio (anch’esso sui topi): “Inhibition of the gut enzyme intestinal alkaline phosphatase may explain how aspartame promotes glucose intolerance and obesity in mice” (Applied Physiology, Nutrition, and Metabolism, 2016)
Nel Maggio 2021 è stato pubblicato uno studio in vitro che conferma le precedenti ricerche: “Artificial Sweeteners Negatively Regulate Pathogenic Characteristics of Two Model Gut Bacteria, E. coli and E. faecalis” (15 Maggio 2021, International Journal of Molecular Science). Lo studio, anch’esso non conclusivo dato che l’intestino umano è un po’ più complesso di semplici colture cellulari, conclude che aspartame, sucralosio, saccarina hanno influito negativamente su due tipi di batteri dell’intestino: E. coli e E. faecalis.
Obesità e Diabete tipo II
L’associazione tra un alimento a zero calorie e obesità è invero controintuitiva ma assolutamente realistica. Oltre alle alterazioni del microbiota intestinale (il quale funge anche da prevenzione del diabete), uno studio estensivo come: “Integration of Sweet Taste and Metabolism Determines Carbohydrate Reward” (Current Biology, 2017) conclude, in sintesi, che la discrepanza tra calorie percepite e calorie realmente introdotte provoca un’alterazione del metabolismo.
In poche parole, il gusto “dolce” attiva dei segnali finalizzati a preparare il metabolismo alla scomposizione degli zuccheri e quindi ad un certo carico calorico. Zuccheri e calorie che però non giungono.
Per quanto solo osservazionale, il seguente studio: “Diet Soda Intake and Risk of Incident Metabolic Syndrome and Type 2 Diabetes in the Multi-Ethnic Study of Atherosclerosis (MESA)” (Diabetes Care, 2017) suggerisce un’associazione tra il consumo di bibite “light” e lo sviluppo di sindromi metaboliche.
Uno studio del 2016, inoltre, è abbastanza esplicito: “Chronic Low-Calorie Sweetener Use and Risk of Abdominal Obesity among Older Adults: A Cohort Study” (PLOS One, 2016)
Cervello
Ebbene sì, i segnali “a vuoto” lanciati da un alimento che al palato appare dolce ma che non apporta calorie, influenzano anche l’attività cerebrale, e anche qui gli studi non mancano.
Uno studio che ha preso in esame il sucralosio (E955) in particolare, attraverso risonanza magnetica funzionale ha osservato che questo particolare dolcificante inibisce l’attività dell’amigdala: “Amygdala response to sucrose consumption is inversely related to artificial sweetener use” (Elsevier, 2012)
Il sottile inganno gusto vs calorie è stato documentato anche nello studio: “Altered processing of sweet taste in the brain of diet soda drinkers” (Elsevier, 2012), nel quale si suggerisce che i consumatori di bibite dolcificate artificialmente (le cosiddette “light”), in mancanza di una gratificazione reale, possono essere tentati dal ricercare in altre fonti di carboidrati la soddisfazione di cui hanno bisogno.
Conclusioni
L’acceso dibattito tra coloro che spingono i dolcificanti artificiali come più salutare alternativa agli zuccheri semplici e coloro che invece suggeriscono di tenersene ben lontani è in essere da anni e non accenna a placarsi.
Persino una revisione sistematica di studi precedenti (sia studi randomizzati controllati che osservazionali di coorte) come: “Nonnutritive sweeteners and cardiometabolic health: a systematic review and meta-analysis of randomized controlled trials and prospective cohort studies” (CMAJ, 2017) non ha portato a conclusioni definitive. I risultati degli studi randomizzati controllati sull’uso dei dolcificanti non aveva identificato alterazioni nel BMI e altri marcatori della salute metabolica , mentre gli studi prospettici di coorte attestavano invece che l’uso prolungato di dolcificanti artificiali era associato ad aumento del BMI, grasso corporeo, giro vita ecc.
Che fare quindi?
La domanda è più aperta che mai. Anni di studi non hanno (ancora) condotto a linee guida certe sull’utilizzo dei dolcificanti. Certo è che la letteratura scientifica fa ipotizzare che l’accoppiata “DOLCE + ZERO CALORIE” non sia un’alternativa necessariamente più “sana” dello zucchero tradizionale.
È inoltre un dato di fatto che i dolcificanti di sintesi siano un prodotto artificiale, sottoposto a numerose lavorazioni prima di essere messo in commercio (e, successivamente, introdotto nell’organismo).
Forse allenare il proprio palato al gusto amaro (ed è possibile) può aiutare a ridurre fortemente l’uso dello zucchero normale, ad esempio nel caffè, senza ricorrere sistematicamente alla dolcificazione di sintesi.
In ogni caso, se si è a dieta o si sta per iniziarne una, prima di optare per i dolcificanti artificiali il consiglio è di chiedere parere al proprio nutrizionista, che potrà anche fornire suggerimenti utili su un uso più consapevole di zucchero tradizionale e sintetico, e magari guidare il paziente a provare altri modi per rendere più dolci le bevande, come ad esempio il miele o lo sciroppo di cocco.
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