Il 20 Agosto 2019 un team di scienziati ha pubblicato sul Nature Communications un articolo sullo studio: “A metabolic profile of all-cause mortality risk identified in an observational study of 44,168 individuals”.
L’obiettivo della ricerca era volto ad ottenere una stima più accurata della mortalità, che, fino ad oggi, permette ai medici di prevedere con un certo grado di precisione solo un periodo molto ristretto: l’ultimo anno di vita.
Tutt’ora non è possibile riuscire a prevedere con certezza il rischio di mortalità su un periodo di 5-10 anni poiché il potere predittivo dei fattori di rischio attualmente utilizzati è limitato.
I team del Leiden University Medical Center (Paesi Bassi) e della Brunel University di Londra (Regno Unito) hanno deciso di identificare eventuali biomarcatori nel sangue che potrebbero aiutare ad affrontare questo problema.
“Cent’anni e non sentirli”: cosa ha scoperto il rapporto Istat 2019
Oggi i livelli di pressione sanguigna e colesterolo possono dare ai medici una previsione della probabile longevità di una persona.
Tuttavia, negli anziani, queste misure diventano meno utili: nelle persone di età pari o superiore a 85 anni, una pressione sanguigna più alta e livelli di colesterolo più elevati sono associati a un minor rischio di mortalità.
L’indagine periodica stilata dall’Istat: “Cent’anni e non sentirli” ha rivelato che Italia e Francia detengono il record di ultracentenari.
Dei 14.456 italiani che al 1° gennaio 2019 hanno compiuto il secolo:
- nessuno è nato nell’Ottocento
- in 10 anni i centenari sono passati da 11 mila a oltre 14 mila
- i 105enni e oltre sono più che raddoppiati, da 472 a 1.112, con un incremento del 136%
- il 90% delle persone che hanno superato i 105 anni è composto da donne.
Il profilo metabolico predittivo della mortalità
La ricerca ha effettuato valutazioni sui dati di 44.168 persone suddivise in 12 coorti di età compresa tra i 18 e i 109 anni. Di esse, 5.512 sono decedute durante il periodo di follow-up (compreso tra 2,76 e 16,70 anni).
I ricercatori hanno impiegato uno spettroscopio a risonanza magnetica nucleare (NMR) ad alto rendimento: si tratta di una delle principali tecniche analitiche per determinare la struttura delle molecole.
La piattaforma analitica è stata predisposta per identificare i predittori metabolici di mortalità a lungo termine nella coorte.
Hanno potuto così selezionare 14 biomarcatori circolanti associati alla mortalità, indipendentemente dalla causa del decesso.
I biomarcatori identificati sono coinvolti in una vasta gamma di processi nel corpo, inclusi l’equilibrio dei liquidi e l’infiammazione.
La presenza elevata di alcuni di biomarcatori corrisponde ad una ridotta mortalità: ad esempio pensiamo al rapporto tra acidi grassi polinsaturi, acidi grassi totali e le concentrazioni di istidina, leucina, valina e albumina.
Per le concentrazioni elevate di glucosio, lattato, isoleucina, fenilalanina, acetoacetato e glicina la corrispondenza è un rischio maggiore di mortalità.
Tale combinazione di biomarcatori potrebbe prevedere ugualmente bene il rischio di mortalità sia nei maschi che nelle femmine.
Per verificare l’affidabilità del sistema, i ricercatori hanno quindi coinvolto una seconda coorte composta da 7.603 partecipanti (FINRISK 1997), della quale 1.213 deceduti durante il follow-up.
Hanno confrontato il valore predittivo di un punteggio basato sui biomarcatori identificati e associati alla mortalità con un punteggio basato su fattori di rischio convenzionali per la mortalità.
La strada verso il futuro esame del sangue
I ricercatori hanno quindi dimostrato come l’accuratezza della previsione della mortalità a 5 e 10 anni basata su un modello contenente i biomarcatori identificati e il sesso è migliore di quella basata su un modello contenente fattori di rischio convenzionali per mortalità.
C’è una speranza che nel prossimo futuro si possano identificare i biomarcatori che possono essere modificati, forse aiutando le persone a migliorare il loro stile di vita o per ridurre il rischio di morte, attraverso i farmaci, prima di un significativo deterioramento della salute.
ha concluso il co-autore dello studio, Dr. Fotios Drenos.
L’uso del profilo metabolico identificato come predittore di mortalità o endpoint surrogato negli studi clinici richiede ulteriori approfondimenti: fondamentale sarà l’inclusione di più metaboliti nelle analisi future.
Questo ampliamento, per gli autori dello studio che hanno valutato centinaia di migliaia di metaboliti:
determinerebbe l’identificazione di molti più biomarcatori associati alla mortalità e, quindi, una migliore previsione del rischio
fino ad arrivare ad un esame del sangue come strumento predittivo.